La cabarettista jesina Lucia Fraboni in un inedito ritratto firmato dalla sua spalla fissa


L'ARTE DI INTRATTENERE
di Francesco Favi


"La vita è l'arte dell'incontro", amava dire Vinicius de Moraes, il grande poeta brasiliano. Un po' meno poeticamente, ma altrettanto efficacemente, un direttore artistico che conosco suole ripetere ai "cavalli" della sua scuderia: "Era impossibile non incontrarci". Che sia stato un'opera d'arte o una mossa giocata dal destino, il mio primo incontro con Lucia Fraboni e il luogo in cui si svolse furono speciali, come speciale è tutto quello che ne è derivato; e come speciale, soprattutto, è lei.

Era il 30 aprile del 1998. Mi trovavo in una delle innumerevoli sale d'aspetto dell'aeroporto "J.F. Kennedy" di New York, dove attendevo di essere imbarcato sull'aereo che mi avrebbe riportato in Italia; accanto a me e come me sbadigliava la comitiva di marchigiani con cui avevo visitato la Grande Mela. Ad un certo punto, per ingannare l'attesa, qualcuno chiese ad una ragazza del nostro gruppo di intrattenerci un po' con Adalgisa. Sapevo che quella ragazza si chiamava Lucia e che era di Jesi, ma durante la permanenza newyorkese avevo scambiato con lei appena qualche parola; viceversa il nome Adalgisa, per quanto buffo, mi diceva ben poco. Lei non si fece pregare, e in men che non si dica, senza trucco e senza inganno, si trasformò in quello che indovinai essere non solo un personaggio di sua invenzione, ma un vero e proprio alter ego: un'estetista dalla fisicità dirompente e dalla colorita parlata maceratese, titolare di un centro di bellezza a Porto Recanati, dispensatrice di consigli estetici ed alimentari, di rimedi contro la cellulite e i peli superflui, sessuologa e sessuomane, e fidanzata di un uomo dalla virilità leggendaria, tal Peppe de Celló. Io e gli altri fummo travolti da una raffica di gag e di aneddoti irresistibili; non avevamo quasi il tempo di ridere di una battuta che già Lucia-Adalgisa ne scodellava una nuova e ancor più esilarante. Ma non meno divertenti erano le intonazioni vocali, gli sguardi, la mimica facciale, la gestualità, al punto tale che come noi della comitiva marchigiana ridevano anche gli altri turisti e viaggiatori, italiani e non, presenti nella sala: segno che la comicità e la forza espressiva di quel personaggio trascendevano i confini dello slang maceratese, del "colore locale" e dell'immaginario "eroticomico" di cui era condito il suo monologo, e si collocavano in una dimensione sovraregionale e sovranazionale, azzarderei universale, dove la voce dice più della parola, il corpo comunica più della storia, il "come" conta più del "cosa". Già di primo acchito capii che, come tutti i grandi comici, Adalgisa – o meglio Lucia – non ha bisogno di essere tradotta o doppiata o spiegata per divertire; anzi, non potrebbe esserlo.

Esattamente un anno dopo – nel frattempo io e Lucia ci eravamo conosciuti meglio ed eravamo divenuti amici – scoprii la Adalgisa radiofonica. Prestavo il servizio civile in un comune a 35 km da casa mia ed ogni mattina, con le palpebre ancora pesanti e con ben poca esultanza, mi mettevo al volante e mi facevo mezz'ora di strada. Ma alle 7,45 in punto il mio umore cambiava colore, perché in radio esplodeva una voce inconfondibile, più squillante di una sveglia, più fresca di una secchiata d'acqua, più forte di dieci caffè; a quell'ora infatti Madame teneva una piccola rubrica astrologica – una "oroscopatina", così la chiamava – su un'emittente locale: dodici segni zodiacali, dodici predizioni di fortuna e soprattutto di sfiga domestica, lavorativa e scolastica, di amori poco platonici, di scappatelle e di corna, di casi rocamboleschi, di destini burloni e dispettosi. Se qualcuno mi avesse visto passare in macchina e ridere da solo, avrebbe potuto pensare che ero un po' suonato; ma non faticavo a credere – e ne ebbi successiva conferma – che in quello stesso momento, dentro le altre auto che incrociavo, negli autobus che portavano i ragazzi a scuola, al di là delle persiane appena schiuse delle case, negli uffici e nelle fabbriche che si andavano popolando, centinaia, migliaia di persone sintonizzate sulla stessa frequenza si stavano divertendo come me e tacitamente ringraziavano quella voce che le metteva, che ci metteva così di buonumore. Due ore dopo il "rito" continuava; spesso e volentieri io disertavo per dieci minuti il servizio e mi chiudevo nella mia auto per ascoltare la rubrica "Più sani, più belli, meno troffelli": coadiuvata dalle sue maldestre assistenti (Beatrice la massaggiatrice e Ronda la vagabonda) e accompagnata dai guati del suo amato cane Zippu, Adalgisa discuteva i casi del giorno, leggeva lettere di donne afflitte da problemi estetici o sentimentali, dava loro rimproveri e suggerimenti, prescriveva diete e ricette "fai da te", lanciava nuove mode e tendenze, raccontava delle sue peripezie con Peppe, teneva lezioni di estetica, di ginnastica, di bon ton, di storia antica e molto altro.

Ma il clou doveva ancora venire, e venne nel luglio del 1999 a Montecarotto, quando finalmente riuscii a vedere Lucia esibirsi dal vivo, in una piazza gremita fino all'inverosimile: chioma rossa e riccioluta, occhiali in stile anni '60, trucco abbondante, collier e brillantini su un generoso décolleté, divisa bianca da estetista sopra un vestito argenteo, calze rosse e scarpe "da sera", Adalgisa fece un'entrata trionfale su un provvidenziale apetto che la accompagnò fino al palco, dove per un'ora e più tenne in pugno il pubblico inanellando una battuta dietro l'altra, rispondendo salacemente alle domande del suo imbarazzato intervistatore, improvvisando sui temi a lei cari, ballando da grande soubrette, cantando uno sfrenato saltarello oltre al suo cavallo di battaglia ("Vorrei tanto spatollarmi"), coinvolgendo alcuni degli spettatori ("Mariòla, te feda più le galline?!", gridò ad una signora che assisteva allo show dal balcone antistante), mietendo risate e applausi a non finire. Un evento, questo, che da allora ho visto ripetersi decine e decine di volte, davanti ai pubblici più diversi e nei luoghi più disparati, e che pure trovo ogni volta nuovo e sorprendente: due mesi dopo quella performance, infatti, al posto di quell'intervistatore e non meno imbarazzato di lui, mi trovai io su un altro palcoscenico ad accogliere Madame, a porle candide domande e a riceverne risposte piccanti, ad accompagnarla alla tastiera, a mediare tra la sua contagiosa euforia e l'entusiasmo del pubblico. Fu il primo atto di uno splendido sodalizio artistico che dura tuttora e che, anche per questo, non posso né voglio riassumere in poche righe, ma che mi dà un privilegio a cui non so in alcun modo rinunciare: quello di intravedere in Lucia "una sola moltitudine" di anime; di assistere ogni volta alla sua magica metamorfosi in Adalgisa o in un altro dei suoi simpaticissimi personaggi (Pepegna, Suor Edmonda, Pepita Hamilton, Nives Ceccoli, Moira Orfei, Stamura Piccioni…); di vederla vivere vite altrui con la stessa intensità e con la stessa totalità con cui vive la propria; di stupirmi per come sa infondere linfa sempre nuova anche alla battuta più collaudata e riesce a cogliere ovunque spunti per crearne di inedite; di scoprirla sempre più abile nel calibrare il ritmo di uno spettacolo e nel pilotarne il corso in direzioni impreviste e imprevedibili; di osservare non visto gli sguardi del pubblico tutti calamitati su di lei; di condividere quel legame tenace di simpatia e di affetto che sa creare in ogni situazione e con ogni platea; di cercare di afferrare e non riuscire ad afferrare il segreto di quell'arte rara e difficilissima di cui lei è maestra: l'arte di intrattenere.